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Blog Itinerari Latomistici

La Farmacia degli Incurabili – Napoli

La Napoli di inizio ’500, da poco entrata a far parte dell’Impero spagnolo di Carlo V, è mossa da un fervore culturale e sociale che attira artisti ed intellettuali da tutto il mondo; tra di essi nel 1506 giunse in città al seguito del re Ferdinando II d’Aragona, Giovanni Llonc, italianizzato in Giovanni Longo, un importante giurista accompagnato dalla moglie Maria Longo.

Maria Longo, rimasta in breve tempo vedova, poiché  affetta da una grave forma di artrite reumatoide  si recò in pellegrinaggio al santuario della Santa Casa di Loreto, per chiedere la grazia della guarigione facendo voto di dedicare il resto della sua vita alla cura degli infermi. Ottenuta la grazia, entrò a far parte del Terz’Ordine secolare di San Francesco assumendo il nome di Maria Lorenza.

Grazie alla sua fede ed alla sua tenacia, il 23 marzo del 1522 riuscì a fondare l’Ospedale di Santa Maria del Popolo, o degli Incurabili.

L’insieme di queste strutture racchiude alcune fra le più importanti testimonianze del rinascimento napoletano. Per sostenere l’opera dell’ospedale già nel 1582 Gian Bernardo Corcione e Ascanio Composta ricevettero dal viceré di Napoli il permesso di fondare un Mons Incurabiles, un monte dei pegni con lo scopo di fornire capitali alle attività dell’ospedale. L’iniziativa, però fallì e solo il 31 gennaio del 1589 vide l’apertura ufficiale del Banco di Santa Maria del Popolo, legato alla chiesa di Santa Maria del Popolo del suddetto complesso.

Di tale importante struttura facevano parte, oltre l’ospedale, anche la Cappella dei Bianchi, oggi chiusa al culto e la monumentale la Farmacia degli Incurabili, un autentico gioiello protetto da un imponente porticato con doppia rampa di scale in piperno, realizzata nel 1750 da Domenico Antonio Vaccaro e Bartolomeo Vecchione, frutto della ristrutturazione dell’antica spezieria del 1500, uno dei più importanti esempi di Rinascimento partenopeo.

Le rampe conducono alla Loggia impreziosita da portali marmorei sormontati da vasi e mascheroni apotropaici  simboleggianti la doppia natura del farmaco: da un lato guarisce, dall’altro può divenire veleno.

I lavori furono finanziati grazie ad un lascito di 40 mila ducati d’oro da parte di Antonio Magiocca, un importante giurista e magistrato della salute, il quale nel suo testamento lasciò precise indicazioni sulla progettazione e realizzazione degli interni e quali artisti, tutti di origine partenopea, avrebbero dovuto prendere parte ai lavori.

Con il tempo il complesso ingloberà anche la chiesa di Santa Maria delle Grazie Maggiore a Caponapoli e l’omonimo chiostro, il complesso di Santa Maria della Consolazione, la chiesa di Santa Maria di Gerusalemme ed il chiostro delle Trentatré.

Dal 2010 una parte del complesso, inclusa la storica farmacia e la chiesa di Santa Maria del Popolo, fa parte del “Museo delle Arti Sanitarie di Napoli“.

La Farmacia, in stile barocco-rococò, è rimasta intatta da tre secoli ed è composta di due sale contenenti l’originaria scaffalatura in noce intagliato e decorato, opera, come il tavolo centrale, dell’ebanista Agostino Fucito.

Attualmente vi si accede attraverso la controspezieria, un ambiente caratterizzato da un grande bancone in radica di noce e con un soffitto spartito in due cupole ellittiche inframezzate da una trave, avvolta da un drappo in stucco che crea un grande arco, simboleggiante un velo squarciato da due angeli, che rappresenta il passaggio dall’alchimia alla farmacologia, la nuova scienza.

Le pregiate mensole in legno che completano gli stigli di farmacia che culminano con pinnacoli a piramide dorata, realizzate da Fucito, arredano gli ambienti e su di esse poggiano oltre 400 albarelli e idrie, i tipici contenitori da farmacia, decorati a chiaroscuro turchino, realizzati presso la fornace dei fratelli Massa e dipinti da Lorenzo Salandra nella metà XVIII secolo con scene bibliche ed allegorie. Il pavimento in cotto maiolicato è attribuibile a Giuseppe Massa con al centro un maestoso tavolo in radica di noce.

Gli stigli sono impreziositi da due alzate di farmacia in legno dorato con 66 nicchie l’una contenenti vasi ed ampolle in vetro con all’interno ancora residui di prodotti farmaceutici (sia polveri che resine che liquidi). Molti vasetti presentano un cartiglio indicante il preparato farmaceutico e non sempre sono corrispondenti alle specialità indicate nel ricettario incurabilino risalente alla fine del Settecento. Effettivamente esistono prodotti tipo fitobezoari e prodotti di origine minerale o dal mondo animale (mandibole e denti di animali marini) che rappresentano un chiaro rimando alla più antica tradizione alchemica, spagirica ed esoterica.

Nell’ambiente retrostante, anch’esso inserito nei locali di laboratorio con forni, mortai ed alambicchi per allestire i galenici e i preparati chimici, esiste una grande urna marmorea, realizzata da Crescenzio Trinchese, contenente la panacea di ogni male: la Teriaca o Triaca.

Questo farmaco ebbe una grossa diffusione tra il Medioevo ed il Rinascimento e conteneva, tra gli altri ingredienti, oppio, carne e pelle di vipera. La richiesta era così forte da indurre i governi ad assoggettarlo alle regole del Monopolio di Stato e vietarne il contrabbando. Le preparazioni più famose erano quelle di Venezia e soprattutto di Napoli, probabilmente perché Cipro, possedimento di Venezia, e Malta, possedimento del Regno di Napoli, consentivano una facile raccolta di ofidi da sempre presenti nei rimedi dell’antichissima medicina Mediterranea anche presso gli Egizi.

Il prodotto, con un rito pubblico, si preparava in più giorni aggiungendo anche erbe medicinali. La cerimonia sottendeva equilibri tra potere politico e finanziamento del protomedicato, controllore di tutti gli speziali del Reame che ne dovevano acquistare almeno un chilo all’anno. La Teriaca era ancora presente nel ricettario incurabilino e, validato come preparazione anche da Domenico Cotugno come acqua teriacale, fu ancora di largo impiego fino alla metà del XIX secolo.

I rimandi alla tradizione magico – alchemica nella produzione del farmaco attestano l’antichità del rimedio ed il grande valore scientifico della Farmacia quale esempio moderno di ricerca e formazione dello speziale. Questo luogo rappresenta una cerniera fra la cultura spagirica della Tradizione Mediterranea e l’apertura verso l’illuminismo scientifico e le sue innovazioni. Racchiude Tradizione ed Innovazione, facendo convivere due universi apparentemente dicotomici ed inconciliabili, in un raro scrigno che li armonizza, dimostrando che non è detto che uno prescinda dall’altro, e che Sapienzialità secolari possono armonizzarsi con la scienza emergente.

Nel tempio della medicina della Farmacia degli Incurabili il farmaco chimico divenne una conquista eccezionale per la medicina. I prodotti a base di calomelano e le preparazioni mercuriali costituirono, in epoca preantibiotica, un valido antidoto alla progressione delle malattie. Il farmaco fu l’espressione della volontà del Vicereame austriaco di investire nella ricerca farmaceutica, considerata la nuova frontiera della conoscenza medica.

Fu proprio il farmaco e segnare il passaggio dalla medicina fideistica, teurgica e spagirica, che si rifaceva a Saperi ancestrali, all’ospedale moderno, inteso come luogo di cura e non più come semplice hospitium.

In questa sala, poi, sono conservate anche due teche del ‘500, a ricordo dell’antica spezieria, alcuni vasi sono infatti ancora riempiti con calcoli umani polverizzati, altri con corna, ossa e denti di animali.

Il secondo salone, detto “la Grande Sala” era solitamente chiuso alla clientela della farmacia, e aperto solo in occasioni importanti. In alto, ad opera di Matteo Bottigliero, domina la statua di Antonio Maggioca, il committente della struttura, in un’intrigante posa, con il sorriso sulle labbra e la mano che invita ad ammirare il grande salone di rappresentanza riservato come sala di adunanze ed interdetto al commercio ed all’uffizio abituale degli speziali.

Splendide porte scorrevoli chiudono questo scrigno ed anche qui dominano le mensole in radica di noce, intagliate d’oro, sulle quali poggiano oltre 250 vasi maiolicati, impreziositi da scene della Genesi su di essi dipinti sempre da Lorenzo Salandra.

In alto è presente una bellissima tela del 1750 firmata da Pietro Bardellino con un dipinto tratto da una scenda dell’Iliade raffigurante un gruppo di soldati feriti, capeggiati forse da Menelao, che chiedono aiuto a Macaone, medico acheo e primo esponente della medicina di cui si parla nella mitologia, il quale indica ai soldati un’erba curativa, la centella asiatica.

La Farmacia degli Incurabili, insuperato capolavoro del barocco-rococò, è al tempo stesso efficiente laboratorio del farmaco ed intrigante luogo di rappresentanza per l’élite scientifica dell’Illuminismo napoletano.

Nei notevoli intagli dorati del Di Fiore la controspezieria presenta una raffigurazione tradizionalmente interpretata come un’allegoria dell’utero virginale, la grande sala invece è dominata da un utero sezionato, come per un taglio cesareo longitudinale.

Nella Farmacia si componevano farmaci naturali, ma al suo interno vi sono numerosi richiami espliciti e nascosti alla Massoneria: piccole piramidi nere poste in alto sulle mensole, messaggi criptici come il numero e la disposizione nello spazio dei vasi e persino le dimensioni delle sale non sono casuali, ma rispondono a precise regole massoniche.

Ai lati del soffitto della Grande Sala vi sono inoltre raffigurati i volti di importanti intellettuali massonici quali Alessandro Volta, Antonie Lavoisier e Jacob Berzelius. Volti ben in vista, ma anche nascosti nei posti più impensabili, come quelli raffigurati, di profilo, tra le nuvole del dipinto di Bardellino, o il volto di “bafometto”, posto sotto la statua del Maggioca.

Napoli infatti in quel periodo fu il fulcro della Massoneria e dell’Ermetismo italiano, riverberando interessi e Saperi in tutta Europa.  Fu sede dei principali cenacoli esoterici nel Mediterraneo raccogliendo quell’eredità Egizio-Pitagorica, che da secoli ininterrottamente aveva influenzato il pensiero ermetico del Regno di Napoli. Anche nel Medioevo Napoli ospitò  importanti cenacoli alchemici, che attraverso Accademie e Circoli Ermetici giunsero fino al ‘600, annoverando figure di spicco quale Francesco Maria Santinelli, Marchese di San Sebastiano e Conte della Metola  ed i suoi discepoli quale Fulvio Gherli, che consegnarono questa tradizione ermetica al famosissimo alchimista Don Raimondo Di Sangro Principe di San Severo, ed ai suoi  discepoli, che occupandosi di Arte Regia, furono tra i principali esponenti massonici a frequentare le sale della Farmacia.

Certamente le preparazioni mercuriali e quelle arsenicali insieme agli oppiacei rappresentano parte essenziale dell’intero armamentario farmaceutico incurabilino. Chi legge il grande manoscritto delle Regole della Real Casa degli Incurabili rimane sorpreso dalla attenzione rivolta al personale addetto alla farmacia. La rigorosa organizzazione gerarchica, tipica di un ordine sapienziale, sottoposta al controllo del direttore, che aveva anche funzioni di formazione per i giovani speziali, teneva in gran conto le diverse fasi, dalla ricettazione al reperimento delle erbe, alla preparazione galenica dei prodotti, al loro ritiro sul grande bancone della controspezieria e la consegna al personale di assistenza, il tutto collegato al nome del paziente che attendeva nella corsia il farmaco. Sciroppai, unzionari, medici, fisici e cerusici, ritiravano personalmente i prodotti dalla farmacia. L’istituzione della farmacia rappresentò la forte volontà gestionale già nell’epoca del Vicereame austriaco di investire in ricerca farmaceutica, considerata la frontiera della conoscenza medica.

ORARI DI APERTURA

Il museo è aperto dal lunedì alla domenica dalle 9 alle 17, chiuso il martedì.
La Farmacia è aperta Mercoledì, Venerdì, Sabato e Domenica ed è visitabile solo previa prenotazione.

Per qualsiasi informazione contattare la segreteria del Museo.
081440647 – info@ilfarodippocrate.it

Via Maria Longo, 50
Napoli

Gran Maestro

Il Ser.·.mo Fr.·. Domenico Vittorio Ripa Montesano.·. è nato in un'antica Famiglia con ininterrotti Tramandi Iniziatici e Massonici, giunti alla quarta generazione. Iniziato all’Arte Reale in giovanissima età, ha ricoperto ruoli apicali nell’Istituzione rivestendo prestigiosi crescenti incarichi, che lo hanno portato oltre un decennio fa a giungere al Grande Magistero. Attivo in numerosi Cenacoli Iniziatici Nazionali ed Internazionali, con l’unanime supporto dei Fratelli, Governa dalla sua Fondazione la Gran Loggia Phoenix degli A.·.L.·.A.·.M.·. Scrittore, Saggista e relatore in numerosi convegni nazionali, è autore di molteplici pubblicazioni e studi esegetici sui Rituali della Massoneria degli A.·.L.·.A.·.M.·. . Cura la Collana "Quaderni di Loggia" per la Casa Editrice Gran Loggia Phoenix® da lui Diretta.

Facta non Verba

"FACTA NON VERBA" è la Divisa* della Gran Loggia Phoenix degli A.·.L.·.A.·.M.·. ed esprime sintetizzandolo un aspetto fondamentale della Nostra Filosofia di Vita, che diviene un abito mentale da riverberare positivamente anche una volta usciti fuori dalle Colonne.


* E’ il Motto tracciato su un cartiglio. Nel Nostro Stemma Araldico in lettere Azzurre su nastro d’Oro, incorniciato e sorretto da due rami di Acacia. Esprime in maniera allegorica pensieri o sentenze, definite anche imprese araldiche. Nella Tradizione dell’aspilogia sono costituite di corpo (figura) e anima (parole).