Alba Fucens ed il Tempio dedicato al Sole che fuga le tenebre
Alba Fucens è un sito archeologico italiano, monumento nazionale, nacque come colonia di diritto latino, occupava una posizione elevata e ben fortificata su 34 ettari ai piedi del Monte Velino. Il sito archeologico è compreso nel comune di Massa d’Albe (AQ), presso la frazione di Albe.
Il toponimo “Alba”, assai diffuso nel mondo latino, deriva da una comune radice indoeuropea che significa “altura”, ma anche “bianco”. Secondo l’Olstenio il nome deriverebbe “dal campo all’intorno, sparso e pieno di sassi bianchi”, e altri studiosi concordarono con tale ipotesi. Sulla base anche delle fonti storiche il nome potrebbe anche derivare da quello di Alba Longa, metropoli latina.
Per quanto riguarda l’aggettivo “Fucens”, questo si ricollega al nome del vicino lago Fucino (in latino Fūcinus).
I coloni di Alba Fucens erano detti Albensi, mentre Albani erano quelli della madrepatria, come dichiarano in maniera esplicita le fonti.
Alba nasce come città EQUA poi conquistata dai romani dopo sanguinose battaglie nel 303 a.C. Venne affidata al consolato di LUCIO GENUCIO e SERVIO CORNELIO che la trasformarono in una delle più importanti colonie romane, come dimostrato dall’intensa densità degli abitanti. È inoltre documentato che Roma gli inviò ben seimila coloni a riprova dell’importanza strategica che si otteneva dal controllo assoluto di questa città. Infatti aiutò l’Impero in più occasioni, nella battaglia di SENTINUM (nelle Marche) contro Galli, Sanniti e Umbri e contro Annibale e la sua avanzata. La colonia ospitò molti prigionieri importanti, tra cui Re di stati sconfitti (SIFACE re di NUMIDIA, PERSEO re di MACEDONIA, BITUITO re degli AVERNI), responsabilità questa che le assegnava un’importante immagine dal punto di vista della fedeltà e dell’inespugnabilità. Alba visse così un periodo di grande ricchezza e fama a tal punto da riuscire ad impreziosire la città con monumenti grandiosi, quelli che in parte possiamo vedere ancora oggi. Purtroppo però dal III secolo d.C. iniziò una lunga decadenza a causa di forti terremoti e di invasioni barbariche che portarono un progressivo declino dalla città.
Fortunatamente vi fu una ripresa nell’epoca Medievale con la costruzione del borgo sul colle di San Nicola dove venne edificato anche il castello dei conti d’Albe e riedificato tra il XV e il XVI secolo. Divenne contea dei conti dei Marsi ma fu distrutta da CARLO D’ANGIO’, episodio che precipitò la città in una seconda decadenza fino a che nel 1441 divenne possedimento della famiglia ORSINI che purtroppo la trascurò definitivamente, spostando persino le vie mercantili (prima Alba si trovava su di una via principale) e isolando il borgo a tal punto da divenire terra preda di brigantaggio. Come se non bastasse vi fu nuovamente un terribile terremoto nel 1915 che rase al suolo l’intero paese.
Ma questo evento catastrofico non è riuscito a cancellare l’immenso valore storico di questa città, per i suoi monumenti e per il ruolo fondamentale assunto nell’Impero Romano. Il suo stesso nome ALBA FUCENS, colei che guarda sorgere il Sole, è metafora di chi non perde mai la speranza, chi si chiama “rinascita” non può che sopravvivere a qualsiasi evento infausto. È qui che prima di chiunque si può vedere l’inizio un nuovo giorno. Questi fatti sfortunati fanno emergere la luce del suo nome, anche perché molto di ciò che venne distrutto fu ricostruito senza perdere il valore archeologico del posto.
Alba Fucens conserva molte rovine romane, esistevano in passato due edifici che sono ad oggi completamente scomparsi. Erano due antichi Templi, di cui uno dedicato ad Apollo, che dominavano l’urbe da due colline. Solo al posto del Tempio di Apollo oggi sorge la chiesa di San Pietro, che si è sostituita ad esso, seguendo una antica consuetudine che voleva la costruzione di edifici di culto su strutture preesistenti, utilizzando i suoi resti ed orientamento. Il Tempio godeva di una grande armonia con l’ambiente, essendo interamente dedicato al Sole ed al suo nascere. La stessa città dal nome di “Alba Fucens” era un inno al Dio Sole.
Come tutte le divinità della Luce, Apollo ha la missione di disperdere le tenebre, di combattere e uccidere i mostri che nelle tenebre si annidano per infliggere agli uomini gli agguati e la morte. Di qui la leggenda che ci rappresenta Apollo, ancor giovinetto; uccisore del gigante Tizio (Τιτυός), che aveva offeso Latona (leggenda che fu localizzata nell’isola di Eubea, ora nella regione di Delfi); e l’altra, ben più famosa, che raccontava la lotta del dio col serpente Pitone (Πύϑων), un vero mostro delle tenebre, come ne conoscono le saghe di quasi tutti i popoli, nato anch’egli dalla terra e che spargeva la desolazione e la morte nella regione di Crisa, non lungi da Delfi. Apollo lo uccise con le sue frecce, e n’ebbe così l’epiteto di Pizio (Πύϑιος); e a Delfi, ov’egli aveva riportato la vittoria, fu eretto in suo onore un santuario, chiamato πυϑώ. Il culto di Apollo Pizio si diffuse per tutto il mondo greco e Delfi divenne il centro principale della religione del dio. Dopo questo glorioso certame, sarebbe risuonato per la prima volta il canto della vittoria e della Luce Trionfante, il Peana (ἰὴ ἰὴ Παιῆον); il canto che fu da allora ripetuto in ogni luogo e in ogni tempo per esprimere il giubilo e la gloria del trionfo della Luce sulle tenebre: canto che era appartenuto probabilmente all’originario Rituale celebrato in onore di Apollo, e in seguito al quale il dio fu soprannominato e invocato ‘Ιήιος e Παιήων (o Παιάν).
Ma un altro carattere ha Apollo, che è proprio degli Dei della Luce; egli è apparso al mondo in un giorno di primavera, quando incomincia il Trionfo della Luce e del Sole; e dal mondo egli si ritira in autunno, per tutto il tempo che la natura e gli uomini intristiscono al freddo e alle tenebre dell’inverno.
A questo suo carattere si riconnettono le belle saghe dei soggiorni di Apollo presso gli Iperborei, presso i Lici o presso gli Etiopi. Gli Iperborei avevano sede al di là della regione di Borea, che, dalla catena dei monti Ripei, si immaginava addensasse sul Mediterraneo i nembi, i venti, le tempeste: al Nord dei Ripei, nella serena chiarità di un giorno che non veniva mai meno, abitavano gli Iperborei, il popolo prediletto di Apollo, oggetto del loro culto e dei loro sacri canti; là si ritira il dio (ἀποδημία) nella cattiva stagione, per ritornarne insieme con la primavera (ἐπιδημία): dalla primavera all’autunno risuona in Delfi il peana di Apollo, mentre, nei tre mesi dell’inverno, durante la sua assenza, predominano piuttosto il ditirambo e le feste di Dioniso. Secondo la saga di Delo, il soggiorno invernale di Apollo era invece nella calda Licia (“il paese della luce”), nella città di Patara; ed il ritorno della divinità nell’isola prediletta, a primavera, si salutava nelle feste Delie.
Come dio della Luce, Apollo è agli uomini apportatore di salute; egli signoreggia ogni male e lo allontana da loro: onde gli epiteti di ‘Αλεξίκακος e ‘Αποτροπαῖος. Come tale, egli è padre di Aristeo e di Asclepio. Egli, il Signore della Luce, aiuta i pastori nei pericoli delle tenebre notturne: e perciò è venerato coi soprannomi di Καρνεῖος e di Νόμιος (cioè “il dio delle greggi e dei pastori”).
Inizialmente questo Tempio dedicato al dio Apollo fu sostituito da una chiesa paleocristiana, che poi mutò col trascorrere del tempo mantenendo lo stile romanico del XII secolo. Il terremoto del 1915 distrusse completamente la struttura, facendo riemergere i resti del Tempio di Apollo, come se fosse risorto dopo centinaia d’anni, si può dire che il Tempio ha “rivisto la Luce del Sole”. Il Tempio fu la base per la ricostruzione della nuova chiesa che è visibile oggi. Molti elementi sono rimasti per buona sorte originali, ed ancora visibili a memoria del Tempio Solare. Sono visibili alcune colonne, l’ambone, il portale del 1130 contenente simboli a “spirale” e le statue antropomorfe dell’archivolto.
La cripta si trova sotto l’abside ed è raggiungibile percorrendo una ripida scala.
Avvicinandoci al portale che offre l’ingresso attraverso la poderosa torre ricorderemo di aver letto essere cinquecentesco tale elegante manufatto, prodotto quindi di uno dei numerosi interventi che si susseguirono da quando i fedeli rinnegarono Apollo, che un tempo ivi era Signore, e da quando le volontà degli uomini e dei fati (tre o quattro terremoti almeno) imposero nuove forme al tempio pagano.
Noteremo che il portale si apre ad Oriente, e di conseguenza l’abside si ammanta del Sole Occiduo, il che è davvero insolito. Superato il vestibolo, aperto ai lati da archi a tutto sesto, troppo tardo per essere stato un Nartece (o Ardica).
La navata centrale è fiancheggiata dal duplice filare di alte, raffinate colonne dai capitelli corinzi. Pare che qualcuna sia superflua al compito che è delle colonne, dato che non sorregge nulla, e si intende perché poche ne siano rimaste, giù nella valle. Bisognerebbe conoscere esattamente le vicende che portarono la chiesa ad assumere l’aspetto che oggi ammiriamo, e che risale al dodicesimo secolo. Bisognerebbe conoscere anche i dettagli della ricostruzione esemplare condotta negli anni cinquanta del secolo ventesimo da Raffaello Delogu, e dei relativi recuperi dell’arredo scampato al terremoto ultimo e più rovinoso, del 1915.
All’interno della chiesa, a lato della sua navata vi è un Ambone molto particolare. Risalente al 1215 ha doppia rampa e doppio lettorino pentagonale, con un terzo separato. È ricco di simboli, vi è l’Aquila (Apostolo Giovanni) che sa vedere oltre l’occhio umano.
Vi è anche un mascherone, ma merita attenzione la figura di un uomo con due serpi che gli escono dalla bocca. Questo simbolo si trova in posizione opposta all’aquila, motivo che potrebbe ricondurre alla verità contrapposta alla menzogna. Ricordiamo che il serpente che esce dalla bocca è stato indicato da Giotto come il peccato capitale dell’invidia.
Presunta presenza dei Templari
La chiesa fu con certezza proprietà dei monaci benedettini, che come è noto avevano un particolare rapporto stretto con i Templari, ad oggi non vi sono documenti comprovanti la certezza di una presenza dei Cavalieri del Tempio, benché molteplici studi di autori locali supportino questa tesi con elementi che ad oggi sono ancora al vaglio di studi accademici. Vi è però un Simbolo che potrebbe avvalorare l’ipotesi e cioè la presenza di una Rosa unita ad altri due Simboli quali una Croce Patente ed un Agnello. La Rosa da sempre è stata considerata un Simbolo mistico sacro ai Cavalieri del Tempio, poiché raffigurante il sangue di Cristo, il Graal ed il Femminino Sacro. A volte viene identificata con la Madonna ed a volte con la Maddalena stessa.
Il Tempio risale al IV secolo a.C. ed oltre al culto del Dio Apollo in una struttura speculare vi era venerata un’altra divinità ignota perché nulla è rimasto affinché potesse essere identificata. (Si trovava in opposizione sul colle Pettorino, da cui il nome poiché si ignora a quale divinità era dedicato, risalente in quanto gemello anch’esso al IV secolo a.c.)
Di Apollo invece si è certi per via dell’iscrizione sulle mura a lui dedicata. Quale sarà stata l’altra divinità venerata nella struttura gemella? Si potrebbe pensare a Diana dea della Luna, però il Dio del Sole non veniva rappresentato comunemente insieme al suo lato opposto. Potrebbe essere invece Dafne che egli amò perdutamente. A noi piace pensare romanticamente alla Luna, misteriosa e in questo caso svanita. Dopotutto il sorgere del Sole era il momento del tramonto della Luna, scomparsa di fronte al sole splendente di Apollo, proprio come in questo Tempio.